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2) La funzione perequativa dell'assegno di mantenimento alla prole

Aggiornamento: 15 mag 2021

Abstract: La funzione dell'assegno di mantenimento secondo la giurisprudenza italiana, non consiste nella mera ripartizione del "costo vivo" del mantenimento della prole, ma in una più ampia funzione redistributiva del reddito complessivo dei due coniugi, in modo da garantire che i figli possano godere dello stesso tenore di vita indipendentemente dal coniuge frequentato. La somma necessaria per ottenere tale risultato, secondo corretti criteri matematici, è una piccola frazione del costo complessivo di mantenimento della prole.


Nel precedente contributo abbiamo visto che la prassi diffusa nei tribunali italiani, che determinano sistematicamente l'assegno di mantenimento in funzione del reddito imponibile risultante dalle dichiarazioni dei redditi dei coniugi è materialmente errata e fondata su un errore metodologico e che una prassi corretta dovrebbe essere inizialmente fondata non sul dato "grezzo" del reddito imponibile, bensì sul reddito fiscale rettificato in base a una serie di parametri.

Facciamo ora una rapida ricognizione sulla natura e sulla funzione dell'assegno di mantenimento.

La fonte normativa di riferimento è l'art. 337-ter c.c., co. 4 che dispone le seguenti regole:


"ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:

1) le attuali esigenze del figlio.

2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori.

3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore.

4) le risorse economiche di entrambi i genitori.

5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore".


Il primo elemento da rilevare è che la legge prevede l'attribuzione al genitore non collocatario dell'onere di versare un assegno di mantenimento solo in via evantuale e non obbligatoriamente. Tuttavia la giurisprudenza italiana è rimasta ancorata alle prassi diffuse prima dell'entrata in vigore della Legge 54/2006, continuando ad attribuire sistematicamente al genitore non collocatario l'onere di versamento di un assegno di mantenimento.

Qualora il giudice, secondo valutazione soggettiva, ritenga opportuno il versamento di un assegno di mantenimento, l'importo di questo deve essere determinato tenendo conto, tra l'altro delle risorse economiche dei genitori, dei tempi di permanenza presso ciascun genitore.


In prima approssimazione si dovrebbe dunque desumere che l'importo corretto dell'assegno di mantenimento sia quello che, tenuto conto di quanto già pagato in via diretta da ciascun genitore per provvedere al mantenimento dei figli durante i rispettivi tempi di frequentazione (non si spiegherebbe altrimenti il riferimento, di cui al punto 3, ai tempi di permanenza), fa sì che ciascun genitore concorra al totale delle spese di mantenimento in misura proporzionale alle proprie disponibilità economiche in rapporto a quelle del coniuge.


Proviamo a fare un semplice esempio numerico:

- costo di mantenimento mensile della prole ante separazione: 1.000 euro

- tempi di permanenza con il genitore non collocatario: 40%

- mantenimento diretto: 400 euro

- redditi del coniuge non collocatario: 3.000

- redditi del coniuge collocatario: 2.000

In questo caso, poiché il genitore non collocatario, in proporzione al genitore collocatario, dispone del 60% dei redditi (rectius, delle disponibilità liquide) e che il costo complessivo di mantenimento della prole è 1.000, per rispettare il principio di proporzionalità (punto 4), il genitore non collocatario dovrebbe concorrere complessivamente alle spese nella misura di 600 euro; ma poiché il genitore non collocatario provvede già direttamente al mantenimento della prole nei propri tempi di frequentazione, in misura pari a 400 euro, l'assegno di mantenimento che il coniuge non collocatario dovrebbe corrispondere al coniuge collocatario dovrebbe essere pari a 200 euro; tale cifra garantirebbe che la prole riceva tutto il necessario al mantenimento, conservando il tenore di vita ante separazione e rispettando il principio di proporzionalità nella partecipazione al costo da parte dei genitori. Si notino i rapporti di grandezza, il costo di mantenimento della prole è 1.000, ma l'assegno è appena un quinto del costo complessivo, poiché le modalità di determinazione dell'assegno tengono conto, come previsto dalla legge, delle disponibilità di entrambi i coniugi e dei tempi di frequentazione.


La giurisprudenza italiana, tuttavia, è andata oltre tale analisi, elaborando la nozione di assegno perequativo (si vedano, tra le numerose pronunce: Trib. Milano 15/07/2015; Cassazione 18538/2013; Cassazione 6519/2020).


Cosa significa che l’assegno di mantenimento ha natura perequativa?

Significa che per evitare differenze improvvise nel tenore di vita quando un figlio si sposta da un genitore all’altro, il giudice dovrà adottare gli accorgimenti opportuni per garantire al minore che la situazione per lui sia il più possibile simile a quella precedente alla separazione dei suoi genitori.

L’importo dell’assegno verrà fissato per rendere congrua la cifra stabilita per il mantenimento del figlio e terrà conto di quanto tempo egli trascorrerà con ciascun genitore e di quali saranno i rispettivi compiti che essi si assumono per la sua cura, assistenza, educazione e crescita.

L’assegno perequativo riesce a rendere effettivo il diritto alla bigenitorialità: entrambi i genitori potranno essere presenti nella vita dei figli, sia pure in maniera alternata, ma senza che nessuno dei due risulti penalizzato.

Quindi l’importo dell’assegno di mantenimento non rappresenta l’importo complessivo

necessario per mantenere il figlio, ma solo l’importo necessario per conseguire la compensazione/perequazione, tenuto conto dei tempi di frequentazione e dei redditi relativi dei coniugi.

In altri termini, secondo l'interpretazione della giurisprudenza, la funzione dell'assegno di mantenimento non è solo quella di garantire il sostentamento della prole, rispettando il principio di proporzionalità nella partecipazione al costo da parte dei coniugi, come previsto dalla legge; la funzione dell'assegno di mantenimento, in altri termini, secondo la giurisprudenza italiana, non è solo la copertura del costo vivo del mantenimento. I giudici italiani si sono spinti oltre rispetto alla mera previsione normativa, attribuendo all'assegno di mantenimento una funzione redistributiva della ricchezza: il minore deve poter godere dello stesso tenore di vita quando è con ciascuno dei coniugi, per cui al mero costo "di sopravvivenza" bisogna aggiungere una redistribuzione delle risorse destinate alle spese voluttuarie. In questo modo è evidente che l'importo dell'assegno cresce inevitabilmente rispetto all'esempio precedente, perché non si tratterà più di ripartire tra i coniugi il solo costo vivo, ma sarà necessario attuare un vero e proprio trasferimento di ricchezza dal coniuge più "ricco" a quello più "povero".


Lorenzo Cornia (Dottore Commercialista)



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