Abstract: le prassi forfettarie di calcolo degli assegni di mantenimento utilizzate dalla maggior parte dei tribunali italiani conducono a risultati materialmente e gravemente errati, con conseguente ingiustificato impoverimento di un coniuge e indebito arricchimento dell'altro coniuge. Il metodo corretto di calcolo, che garantisca ai figli la conservazione del tenore di vita, deve tenere conto delle effettiva disponibilità liquide dei coniugi e di quanto corrisposto in via diretta durante i rispettivi tempi di frequentazione.
Siamo finalmente pronti per assemblare tutti i dati e provare l’assoluta indifferibilità di un intervento, a livello amministrativo se non normativo, che ponga fine a una situazione di diffusa illegittimità, obiettivamente fuori controllo e con enormi costi sociali.
Evitiamo in questa sede di criticare nel merito le posizioni della giurisprudenza; molta letteratura è stata scritta, ad esempio, sul fatto che non è possibile, in caso di separazione, garantire che la prole conservi lo stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, perché la separazione comporta nuovi costi che inevitabilmente sono destinati a ridurre il tenore di vita dei due nuclei familiari precedentemente uniti; la giurisprudenza, con intento lodevole ma approccio poco realistico, ha assunto un orientamento volto alla massima tutela della prole, per cui operiamo in tale contesto e dimostriamo che non solo le prassi dei tribunali, basate su forfettizzazioni grossolane e su dati errati, conducono a risultati divergenti dagli obiettivi fissati dai tribunali stessi, ma alimentano un contenzioso che dovrebbero invece cercare di deflazionare in tutti i modi, imponendo provvedimenti che nella maggior parte dei casi non possono materialmente essere rispettati. Cosa ancora più grave, tali provvedimenti, che hanno come principio ispiratore la tutela dell’infanzia, finiscono in ultima istanza per danneggiare i minori stessi che dovrebbero tutelare, disperdendo le risorse che dovrebbero essere destinate dalle famiglie alla cura della prole in ingentissime spese legali che si protraggono per anni e mettendo spesso a repentaglio la stabilità economica delle famiglie, anziché preservarla.
Veniamo al dunque.
Abbiamo visto che la prassi dei tribunali, contrariamente a quanto previsto dalla legge, impongono al genitore non collocatario (figura non prevista dalla legge) il pagamento di un assegno di mantenimento (previsto in via solo eventuale dalla legge); il criterio di determinazione dell’assegno dovrebbe essere ispirato, secondo quanto stabilito dalla giurisprudenza stessa, ai seguenti principi:
- Principio di proporzionalità: ciascuno dei coniugi dovrebbe provvedere al mantenimento della prole in proporzione alle proprie capacità economiche;
- Tenore di vita: l’assegno dovrebbe garantire ai figli di godere dello stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio;
- Perequazione (rectius redistribuzione): le risorse dei coniugi devono essere redistribuite in modo che i figli possano godere dello stesso tenore di vita quando sono, volta per volta, con un genitore o con l’altro.
Abbiamo visto inoltre che l’assegno di mantenimento ha per oggetto la copertura delle sole spese ordinarie, che si possono in linea di massima (pur con le differenze già evidenziate tra i vari tribunali italiani) identificare in: utenze domestiche, alimentazione, abbigliamento e cura della persona.
Riprendiamo allora ancora una volta l’esempio della nostra famiglia media:
- 1 genitore è un lavoratore autonomo che fattura 100.000 euro all’anno e dichiara un reddito fiscale, al netto delle imposte, di 60.000 euro, corrispondenti a 5.000 euro al mese; come visto, però il reddito fiscale non rappresenta la capacità di spesa, che è pari a 45.000 euro, ovvero 3.750 euro al mese, compreso il mutuo a proprio carico sull’abitazione di cui è proprietario;
- 1 genitore è un lavoratore dipendente, con un reddito di 1.500 euro al mese;
- La famiglia ha tre figli.
Vediamo ora come dovrebbe essere calcolato l’assegno in modo da garantire i tre principi perseguiti dalla giurisprudenza (proporzionalità, tenore di vita e perequazione) e come viene invece determinato secondo la prassi prevalente nella maggior parte dei tribunali italiani.
Riportando i dati dai contributi precedenti, si ha la situazione seguente ante separazione:
Una volta pagato il mantenimento ordinario della prole, i due coniugi hanno ancora oltre 4.000 euro per provvedere al proprio mantenimento (alimentazione, energia elettrica ecc.), alle spese straordinarie (cure mediche, istruzione, villeggiatura ecc.), spese voluttuarie ed eventuale accantonamento di risparmi per tutta la famiglia.
A un certo punto, però, i coniugi decidono di separarsi. Come visto in precedenza, secondo la prassi diffusa presso molti tribunali, coniuge 1 non solo rischia di essere privato della disponibilità della casa di proprietà per la quale paga un mutuo (e ciò indipendentemente dall’eventuale responsabilità di addebito della separazione!), ma in quanto genitore non collocatario sarà verosimilmente onerato del versamento di un assegno per il mantenimento ordinario dei figli. Abbiamo anche visto che i tribunali italiani assumono il reddito fiscale come dato per il calcolo dell’assegno e che frequentemente, in caso di tre figli, tale assegno viene determinato in misura pari al 50% del reddito.
(Breve ma importantissimo inciso: abbiamo visto nel contributo precedente che, in base ai dati dell’ISTAT, per una famiglia con 3 figli il costo complessivo, per 5 componenti, della spesa ordinaria è pari al 52% della spesa complessiva in consumi; se si prende in considerazione la sola quota riferibile ai figli, tale percentuale scende a un terzo; vale a dire che per una famiglia che spende 3.000 euro al mese in consumi mediamente 1.000 euro sono destinati al mantenimento ordinario dei figli; la giurisprudenza italiana pone a carico del solo coniuge collocatario, per la copertura del solo mantenimento ordinario, nei soli tempi di non diretta frequentazione della prole da parte del genitore non collocatario, IL 50% DEL REDDITO FISCALE COMPLESSIVO! Tutto ciò e letteralmente inconcepibile e dimostra la totale arbitrarietà e mancanza di dimestichezza con i numeri delle prassi giudiziarie).
Riprendiamo l’illustrazione dell’esempio. In questo caso genitore 1 sarà quindi obbligato a versare un assegno di 2.500 euro per il mantenimento ordinario dei figli (che in costanza di matrimonio ammontava complessivamente a 1.130 euro, per cui meno della metà dell'importo che coniuge 1 sarà tenuto a versare a coniuge 2). Il Tribunale, inoltre stabilisce che i figli frequentino per il 40% del tempo un genitore e per il 60% del tempo l’altro. Vediamo dunque in che modo vengono ripartite le risorse economiche a seguito del provvedimento del tribunale.
E’ evidente che il provvedimento del tribunale è errato sotto tutti i punti di vista:
- Genitore 1 provvede al mantenimento dei figli in misura pari a 2.952 euro, mentre genitore 2 utilizza i fondi ricevuti da genitore 1 per pagare i 678 euro di mantenimento ordinario per cui non contribuisce in nessuna misura con fondi propri. Il principio di proporzionalità non è rispettato, perché le spese di mantenimento ordinario sono integralmente a carico di genitore 1, addirittura in misura eccedente rispetto all’ammontare complessivo delle spese medesime.
- Il principio perequativo non è rispettato, perché genitore 2 gode di una disponibilità residua di gran lunga superiore a quella di genitore 1, che al contrario non dispone più del necessario per provvedere a se stesso e alle spese straordinarie di mantenimento dei figli, dovendo anche provvedere a dotarsi di una nuova residenza.
- L’unico criterio rispettato è il mantenimento del tenore di vita dei figli ante separazione, ma integralmente a discapito di genitore 1.
- Genitore 1 non ha alternative rispetto a proseguire il contenzioso impugnando i provvedimenti che lo hanno gravemente penalizzato, sottraendo ingenti risorse al futuro dei figli per disperderle in spese legali.
- Genitore 2 si ritrova un’eccedenza di risorse che inevitabilmente incrementeranno il tenore di vita proprio, oltre che dei figli.
La prassi del tribunale è errata per molteplici ragioni:
- L’assegno è calcolato sul reddito fiscale anziché sulla disponibilità finanziaria;
- L’assegno calcolato in proporzione al reddito del coniuge onerato, inevitabilmente, non tiene conto di quanto speso da questi in termini di mantenimento diretto.
- Le proporzioni di riparto dei redditi disponibili non rispettano in alcun modo i dati statistici nazionali; laddove, in costanza di matrimonio, i coniugi spendevano congiuntamente, per il mantenimento ordinario, circa il 30% del reddito complessivo disponibile, a seguito della separazione viene posta a carico di un solo genitore una spesa che può essere anche il TRIPLO della spesa pregressa e che, tenuto conto di quanto il genitore spende in via diretta durante i propri tempi di frequentazione della prole, si può ben approssimare alla totalità del reddito del genitore non collocatario, a dispetto di ogni logica!
Riprendiamo ora i principi definiti dalla giurisprudenza e prendiamo in considerazione la sola necessità di garantire alla prole una continuità del tenore di vita.
Quale sarebbe l’importo necessario a garantire il tenore di vita di cui la prole godeva in costanza di matrimonio?
Abbiamo visto che, nel nostro esempio, i redditi sono ripartiti tra i coniugi in misura, rispettivamente del 71% e del 29%.
Abbiamo ipotizzato un costo di mantenimento ordinario della prole complessivamente pari a 1.130 euro, ma poiché i coniugi provvedono già direttamente al mantenimento dei figli, fornendo loro cibo, un tetto ed energia elettrica durante i rispettivi tempi di frequentazione, le spese sostenute durante i tempi di frequentazione (rispettivamente il 40% e 60%) sono pari a 452 e 678 euro, per cui la cifra che genitore 1 dovrebbe corrispondere a genitore 2 per rispettare il principio di proporzionalità è pari a 350 euro! Molto diversa dai 2.500 euro determinati dal Tribunale! Versando un assegno di 350 euro a genitore 2, infatti, genitore 1 provvede, sommando il mantenimento diretto all’assegno di mantenimento, al pagamento complessivo di 802 euro, ovvero il 71% dei 1.130 euro necessari per garantire il mantenimento ordinario della prole.
Ma il fatto che genitore 1 versi “solo” 350 euro a titolo di assegno di mantenimento non significa che il costo del mantenimento di tre figli sia pari a 350 euro; mantenere 3 figli, nell’esempio, costa 1.130 euro solo di mantenimento ordinario, ma il principio di proporzionalità è rispettato con il versamento di 350 euro! Si badi bene che tali somme sono tutt’altro che irrealistiche, per una famiglia che disponga di una liquidità mensile di 5.000 euro è del tutto verosimile spendere un quinto di tale cifra per le sole esigenze ordinarie della prole (l'Istat indica una spesa MEDIA pari a un terzo della spesa complessiva per il mantenimento ordinario della prole, ma la spesa complessiva è ovviamente una frazione del reddito disponibile).
Purtroppo nel mondo del diritto di famiglia è graniticamente radicata una forma di pensiero che tende a identificare l’assegno di mantenimento con il costo del mantenimento della prole; spesso negli scritti difensivi gli avvocati usano argomenti del seguente tenore “il coniuge X è disposto, bontà sua, a versare la somma risibile di 300 euro, che non sarebbero sufficienti nemmeno per fornire il cibo ai figli!”. Si tratta di un vero e proprio vizio logico, radicato anche nel pensiero dei magistrati, che è all’origine di gravissimi danni sociali. L’importo dell’assegno di mantenimento non ha nulla a che vedere con il costo complessivo del mantenimento dei figli, non solo perché il costo complessivo deve essere suddiviso tra spese ordinarie e straordinarie, ma anche perché il totale delle spese ordinarie deve a sua volta essere suddiviso tra quanto già corrisposto in via diretta da ciascun coniuge e quanto deve essere versato da un coniuge all’altro per soddisfare i fini perequativi!
L’assegno di mantenimento non rappresenta il costo di mantenimento complessivo della prole; l’assegno di mantenimento deve essere la cifra perequativa che riequilibra le quote di partecipazione dei coniugi alla spesa complessiva.
Proseguiamo dunque nel nostro esempio, mettendo alla prova la natura perequativa dell’assegno di mantenimento. Si potrebbe obiettare, infatti, che per la giurisprudenza italiana la funzione dell’assegno di mantenimento non è la sola ripartizione del costo vivo del mantenimento della prole bensì la redistribuzione complessiva dei redditi dei due coniugi. A questo punto sarebbe obbligatorio, sul piano logico, rilevare la contraddizione in termini tra la giurisprudenza che attribuisce all’assegno di mantenimento la sola funzione di garantire la copertura delle spese ordinarie, con la funzione perequativa del tenore di vita, considerato che il “tenore di vita” è tipicamente definito dalle spese straordinarie più che da quelle ordinarie, ma tant’è, proseguiamo con i numeri, che si esprimono meglio dei sofismi; ci stiamo muovendo in un contesto dove c’è poco spazio per la logica e sarebbe ozioso soffermarsi su contraddizioni in termini. Riprendiamo la prima tabella e vediamo quant’è l’importo che garantisce che entrambi i nuclei abbiano la stessa disponibilità residua da destinare alle spese voluttuarie una volta assolto l’obbligo di mantenimento ordinario della prole.
Non stiamo più ragionando dell’equa ripartizione delle sole spese vive di mantenimento ordinario; assecondiamo i principi definiti dalla giurisprudenza e tentiamo di ripartire in modo equo l’intero reddito disponibile della famiglia, in modo da garantire che la prole goda dello stesso tenore di vita sia quando frequenta un genitore che quando frequenta l’altro genitore. In altri termini: non ripartiamo più in proporzione al reddito solo le spese di cibo, utenze e abbigliamento, ma tutte le spese, anche quelle voluttuarie.
Con il versamento di 1.238 euro, il tenore di vita è equiparato tra i due nuclei familiari (tralasciamo il fatto che a seguito della separazione, il genitore non collocatario dovrà sostenere nuove spese per dotarsi di un alloggio e quindi la disponibilità mensile si ridurrà inevitabilmente; abbiamo visto che ciò non rileva per la giurisprudenza, che si è da tempo posta il fine primario di garantire la conservazione del tenore di vita della prole; ciò che ci interessa è rilevare gli errori impliciti compiuti dalla giurisprudenza, operando con le stesse regole stabilite dalla giurisprudenza stessa); ed è la metà di quanto determinato dal tribunale!
E’ pur tuttavia evidente che in questo modo coniuge 1 partecipa alle spese complessive in misura molto più che proporzionale (1.690 euro di spesa a fronte di un costo vivo di mantenimento di 1.130), mentre coniuge 2 non è in alcun modo gravato direttamente dall’obbligo di mantenere la prole in proporzione al proprio reddito (i 678 euro di mantenimento diretto sono integralmente assorbiti dall’assegno di mantenimento ricevuto dal coniuge), ma questa misura dell’assegno lascia almeno a coniuge 1 il necessario per mantenere se stesso, senza pregiudicare in nessun modo le esigenze della prole.
Si ritiene di aver sufficientemente dimostrato l’erroneità delle prassi consolidate nelle aule giudiziarie nella determinazione degli assegni di mantenimento, ma vediamo in un’ultima sinossi riepilogativa l’esempio di una famiglia più “comune” e come si consumi ogni giorno nei tribunali italiani il disastro delle separazioni giudiziali. Si ritiene che non sia necessaria una terza simulazione con redditi ancor più modesti; sono intuitivi gli effetti disastrosi dei provvedimenti dei tribunali italiani sulla stabilità economica della famiglia quando la disponibilità economica complessiva della famiglia si riduca ad esempio a 2.500 euro complessivi.
In questo caso i due coniugi sono entrambi dipendenti, per cui i redditi sono omogenei; 1 solo figlio, per cui il tribunale fissa un assegno di mantenimento pari al 25% del reddito del coniuge obbligato e un tempo di frequentazione pari al 30%.
Anche in questo caso, coniuge 1, che pur godeva prima della separazione di un reddito di tutto rispetto, una volta onorati gli obblighi imposti dal tribunale resta con le finanze pressoché esaurite e non certo con il necessario per dotarsi di una nuova casa. Coniuge 2 per contro resta con il suo stipendio pressoché intatto, perché tutto il costo del mantenimento è a carico di genitore 1. Anche in questo caso l’assegno determinato dal tribunale non è servito né a garantire il mantenimento della prole (a cui provvede ciascun genitore in via diretta durante i rispettivi tempi di frequentazione), né a rispettare il principio di proporzionalità, né a ristabilire una perequazione reddituale.
Resta da chiedersi se coniuge 1, privato della propria abitazione per cui continua a pagare il mutuo, onerato dell’obbligo di un versamento ingentissimo, costretto a spendere più del proprio reddito in spese legali, continuerà a essere in grado di produrre i suoi redditi, una volta gravato da provvedimenti così severi, o se non sia la stessa stabilità economica della famiglia a essere messa in pericolo dai provvedimenti del tribunale.
Come calcola l’assegno di mantenimento un tribunale italiano e come dovrebbe essere calcolato per rispettare i principi stabiliti dalla stessa giurisprudenza
- Genitore 1 in costanza di matrimonio spendeva 285 euro per il mantenimento ordinario del figlio; a seguito del provvedimento del tribunale ne spende 650, più del costo stesso del mantenimento;
- Genitore 1 a seguito del provvedimento del tribunale ha 1.350 euro residui per pagare il mantenimento straordinario della prole, mantenere se stesso e dotarsi di una nuova abitazione;
- genitore 2 a fronte di un reddito di 1.500 euro si ritrova con una disponibilità netta mensile di 1.650 euro: non solo non partecipa in nessun modo al mantenimento del figlio ma gode anche di un incremento reddituale.
Lorenzo Cornia (dottore commercialista)
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