top of page
Immagine del redattoreLorenzo Cornia

5) Qual è il costo di mantenimento ordinario di un figlio

Aggiornamento: 17 lug 2022

Abstract: la corretta determinazione dell'assegno di mantenimento presuppone prioritariamente l'accertamento del dato, statisticamente attendibile, del costo medio complessivo di mantenimento ordinario. Una volta determinato il costo di mantenimento (che è cosa ben diversa dall'importo dell'assegno, che non potrà che essere una frazione del costo medesimo), l'assegno di mantenimento, per assolvere la propria funzione di redistribuzione dell'onere complessivo tra i coniugi, tenendo conto a) dei rispettivi redditi e b) di quanto corrisposto in via diretta nei rispettivi tempi di frequentazione, non potrà che essere una frazione di una frazione del costo stesso. A un osservatore attento non sfuggirà, invece, che il costo medio di mantenimento corrisponde agli importi medi degli assegni determinati dai tribunali italiani, con l'effetto di caricare più e più volte la totalità del costo su un solo coniuge.


Come abbiamo ripetutamente osservato, l’orientamento della giurisprudenza italiana attribuisce all’assegno di mantenimento una funzione perequativa, che però sarebbe più corretto definire redistributiva. La legge, infatti, si limita a disporre che i coniugi devono contribuire al mantenimento dei figli in misura proporzionale alle rispettive capacità economiche. Un’interpretazione strettamente letterale della legge, quindi, indurrebbe a pensare che, fatto 100 il costo mensile di mantenimento di un figlio, qualora ad esempio i redditi dei coniugi siano in rapporto di 60% e 40%, l’assegno di mantenimento dovrebbe essere di importo tale da far sì che entrambi i coniugi contribuiscano al costo del mantenimento in parti uguali. In altri termini, nel nostro esempio, la “perequazione” sarebbe assolta qualora il coniuge che dispone del 60% del reddito corrispondesse all’altro coniuge un assegno di 10 (non tenendo conto, per semplicità, di quanto corrisposto dai due coniugi in via diretta). Tuttavia, la giurisprudenza, nel declinare il concetto di perequazione, chiama in causa, secondo un orientamento consolidato, il concetto di “tenore di vita”, affermando che lo scopo dell’assegno perequativo è quello di impedire che i figli godano di due tenori di vita diversi a seconda del coniuge che volta per volta frequentano; in questi termini sarebbe più corretto definire l’assegno di mantenimento come “assegno redistributivo” più che “assegno perequativo”, perché per assolvere tale funzione di livellamento del tenore di vita non sarebbe più sufficiente compensare il costo vivo del mantenimento in proporzione ai rispettivi redditi dei due coniugi, ma sarebbe necessario un quid pluris, ovvero una vera e propria redistribuzione della ricchezza tra i due nuclei familiari in modo da adeguarne la ricchezza complessiva.

Lo scopo di queste riflessioni è dimostrare, in ultima analisi, non tanto quanto l'orientamento della giurisprudenza italiana sia contrario al dettato della Legge 54/2006 (tema già ampiamente dibattuto nella letteratura specialistica) ma come gli strumenti e i metodi elaborati dai tribunali italiani con il fine dichiarato di ottenere un risultato perequativo falliscano drammaticamente nel risultato ottenendo risultati fortemente iniqui per il coniuge obbligato al pagamento dell'assegno di mantenimento; ma per giungere a questa dimostrazione è necessario disporre di tutte le incognite di un’equazione complessa, una delle quali è il costo di mantenimento di uno o più figli.

Si tratta di un dato che è relativamente facile determinare in maniera approssimativa, e sia pure con tutti i difetti che la scienza statistica notoriamente attribuisce all’indice “media aritmetica”; non solo l’Istat (che è la prima fonte a cui naturalmente si tende a rivolgersi) elabora tale dato, ma numerosi altri enti (Camere di Commercio, associazioni di consumatori, Università ecc.), con finalità diverse.

In questa sede ci limitiamo a rinviare ad alcune fonti secondarie e a rappresentare i dati più recenti resi disponibili dall’Istat per alcune categorie di famiglie, con un’ulteriore precisazione: sono disponibili in rete numerosi studi fatti da esperti di statistica o matematica, volti a determinare con estrema precisione il costo di mantenimento di uno o più figli al variare di condizioni economiche della famiglia, posizione geografica, istruzione ecc. Tali strumenti, che fanno ricorso a strumenti particolarmente raffinati come ad esempio i coefficienti di equivalenza, non verranno presi in considerazione, sempre per esigenze di sintesi e semplicità, tuttavia si invitano senz’altro i lettori che vogliano approfondire a leggere tali studi, che vengono riportati qui in calce e confermano l’erroneità degli importi tipicamente determinati dalla giurisprudenza a titolo di assegno di mantenimento.

L’Istat pubblica annualmente il rapporto sulla spesa per consumi delle famiglie. L’ultimo rapporto pubblicato, relativo all’anno 2019, è disponibile al seguente indirizzo

mentre a questo indirizzo è possibile esplorare le tavole di dati in formato Excel


Nelle tavole in formato Excel è possibile esaminare i dati ripartiti per zona geografica, categoria merceologica di spesa, numero di componenti ecc.

In particolare, la seguente è la tabella (Prospetto 4 del file citato) che rappresenta in valori assoluti la spesa mediana e la spesa media di una famiglia italiana in base al numero di componenti:



N.B. I dati Istat rappresentano il totale che una famiglia media italiana spende per i vari capitoli di spesa. Da questo dato, per determinare una prima rozza approssimazione del costo di mantenimento di uno o più figli, occorrererebbe calcolare il differenziale di spesa rispetto a una coppia senza figli, che rappresenta un incremento integralmente attribuibile al mantenimento del figlio, oltre a imputare al figlio una quota del costo sostenuto per i capitoli di spesa ordinari dalla coppia senza figli. Ad esempio, se una coppia senza figli spende 100 euro al mese di energia elettrica e una coppia con un figlio ne spende 130, il differenziale di 30 è un maggior costo attribuibile al figlio, mentre il costo di 100 sostenuto dalla coppia senza figli dovrebbe ragionevolmente essere suddiviso fra tre soggetti, per cui si può stimare sommariamente che il costo dell'energia elettrica attribuibile al figlio sia 63 (30 di costo diretto oltre a 33 di quota di costo complessivo); come detto, si tratta di un'approssimazione rozza, poiché la scienza statistica dispone di tecniche molto più raffinate per la suddivisione del costo tra più soggetti, ma ai nostri fini il margine di errore è tollerabile.


Sommando quelle che, generalmente, sono qualificate dalla giurisprudenza italiana come spese ordinarie ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento, si può evincere ad esempio che una famiglia di 5 componenti sostiene una spesa media di 1.762 euro (celle evidenziate in verde) per il proprio mantenimento ordinario. Dividendo tale dato per il numero di componenti si ottiene un primo dato grossolano di costo del mantenimento ordinario di 3 figli, pari a 1.057 euro (ribadiamo che si tratta del solo mantenimento ordinario: utenze domestiche, cibo e abbigliamento). Come già detto, tale dato è una prima grossolana approssimazione, che non tiene conto dei coefficienti di equivalenza (ad esempio, al crescere del reddito la quota di spesa riferibile alla spesa alimentare sarà proporzionalmente minore, così come cambia la propensione al risparmio al variare del numero di componenti della famiglia ecc.).

Teniamo presente, per il prosieguo, che la spesa media per i capitoli di spesa normalmente qualificati come “ordinari” dalla giurisprudenza, rappresenta il 52% della spesa media complessiva mensile (attenzione: il 52% della spesa, non del reddito familiare).

Proviamo, sulla base di questi dati, a riprendere l’esempio già rappresentato nei contributi precedenti e a simulare il costo di uno o più figli sulla base dei seguenti presupposti:

- Abbiamo visto che mediamente, pur con le differenze e l’eterogeneità dell’approccio tra i diversi tribunali, vengono incluse tra le spese ordinarie le seguenti spese: abitazione e utenze, alimentazione, abbigliamento, cura della persona;

- Pur tenendo conto delle differenze di spesa, anche sensibili, che si possono verificare al variare di zona geografica, reddito familiare, o altre condizioni, le differenze più marcate, che concorrono a determinare il tenore di vita, si manifestano più tra le spese straordinarie che tra le spese ordinarie: una famiglia a basso reddito non spende in cibo ed energia elettrica per il mantenimento di un figlio una cifra sensibilmente diversa da una famiglia ad alto reddito, mentre le differenze più marcate si avranno, in scuole private, viaggi, sport ecc. che generalmente rientrano tra le spese straordinarie e pertanto non rilevano ai fini dell’assegno di mantenimento; solo la spesa per abbigliamento può evidenziare differenze realmente significative tra una famiglia a basso reddito e una ad alto reddito, tra le spese ordinarie;

- Al crescere del numero dei figli, il costo effettivo di mantenimento cresce in misura meno che proporzionale; il consumo di energia elettrica per più figli non è un multiplo esatto dell’energia consumata da un figlio; idem per il costo dell’abbigliamento, che potrà essere parzialmente passato da un figlio all’altro ecc.;

- Ipotizziamo sempre una ipotetica famiglia “media” italiana: reddito disponibile mensile complessivo pari a 4.500 euro, tre figli minorenni; vedremo in seguito che anche in una situazione di apparente benessere come questa, i tribunali italiani determinano assegni di mantenimento difficilmente sostenibili per il coniuge onerato; a maggior ragione ciò sarà vero per famiglie che dispongono di redditi inferiori.

Sulla base di tali presupposti, il maggior costo riferibile al mantenimento di uno o più figli rispetto al costo della vita di una coppia senza figli può essere ragionevolmente approssimato nei seguenti importi medi (maggiori consumi generati da uno o più figli per spese ordinarie rispetto a una coppia senza figli) arrotondati sommariamente per difetto per compensare l'inaffidabilità strutturale della media aritmetica semplice.

Tali cifre rappresentano una stima approssimativa del maggior costo medio mensile che una coppia con uno o più figli sostiene rispetto a una coppia senza figli per pagare il mantenimento ordinario (utenze domestiche, cibo, abbigliamento, cura della persona). E' implicito nella nozione di valore medio che ogni singola famiglia potrà presentare dati anche sensibilmente diversi; per i nostri fini ciò che rileva è che il costo di mantenimento per un singolo figlio per le sole spese ordinarie (utenze domestiche, cibo e abbigliamento, escluse tutte le spese straordinarie) non può ragionevolmente essere né 100 euro né 2.000 euro.

Affermare che il costo medio di mantenimento ordinario di un figlio è 520 euro, significa che realisticamente ci saranno famiglie che per il mantenimento ordinario di un figlio spendono 300 euro e altre che ne spendono 700; come si vedrà nel prossimo contributo, tale forbice non è particolarmente rilevante.

Gli importi indicati in questa tabella verranno utilizzati a scopo esemplificativo nei prossimi contributi; come si vedrà, un margine di errore di qualche centinaio di euro non è significativo poiché tali importi sono destinati ad essere ponderati con i redditi dei coniugi separati e ulteriormente ponderati con i tempi di frequentazione.


Evidentemente ci potranno essere differenze più o meno marcate in base al reddito della famiglia, alla zona geografica e ad altri fattori, ma come detto le spese ordinarie sono tipicamente meno influenzate dal tenore di vita rispetto alle spese straordinarie, per cui è ragionevolmente possibile determinare una cifra mensile "standard" che garantisca il pagamento delle esigenze minime di vita di uno o più minori ai fini delle simulazioni di calcolo dell'assegno di mantenimento che si faranno nel prossimo contributo.


Ai lettori più attenti non sfuggirà che gli importi indicati nella precedente tabella corrispondono a grandi linee agli importi che i tribunali italiani, applicando metodi forfettari basati sul reddito del coniuge non collocatario, sono soliti imporre al genitore onerato; ciò comporta che questi sia costretto a versare all'altro coniuge la pressoché totalità dell'importo necessario per il mantenimento ordinario della prole, salvo poi dover nuovamente sostenerne il costo in via diretta durante i tempi di frequentazione, con evidente violazione del principio di proporzionalità e indebito arricchimento del coniuge collocatario, che non necessariamente utilizzerà l'eccedenza per le esigenze della prole.


Ritorniamo un attimo sul punto, evidenziato in precedenza, del rapporto tra spesa media mensile complessiva e spesa media mensile ordinaria; abbiamo visto che, in media, una famiglia italiana dedica al mantenimento ordinario circa il 50% della spesa complessiva; è noto che la giurisprudenza italiana ha adottato un orientamento volto alla massima preservazione del tenore di vita del minore, che in caso di separazione deve essere il più possibile simile a quello goduto ante separazione; è evidente che ciò non è possibile, perché una separazione inevitabilmente comporta la duplicazione di molti costi e quindi la diminuzione del tenore di vita complessivo, ma il nostro intento è declinare in cifre i principi stabiliti dalla giurisprudenza, giusti o sbagliati che siano. Ipotizziamo un genitore che abbia una disponibilità finanziaria mensile di 2.000 euro, 3 figli e per tuziorismo ipotizziamo anche che questo genitore non destini nulla del proprio reddito a risparmio, spendendolo integralmente mese per mese; la spesa mensile in costanza di matrimonio sarà quindi di 2.000 euro, di cui 1.000 di mantenimento ordinario proprio e dei propri figli; la quota di mantenimento ordinario destinata ai figli sarà dunque di 750 euro; se il nostro genitore frequenta, dopo la separazione, i propri figli per il 35% del tempo complessivo, provvederà a dar loro cibo e un tetto in via diretta in misura proporzionale al tempo di frequentazione, spendendo 265 euro; una semplice operazione aritmetica, ci aiuta a determinare qual è la somma che il nostro genitore dovrebbe spendere per lasciare invariata la spesa, e quindi il tenore di vita, rispetto al periodo ante separazione: 485 euro, ovvero il 24% del reddito complessivo. Secondo la prassi dei tribunali italiani, invece, il nostro genitore potrebbe essere obbligato a versare fino al 50% del proprio reddito, con palese violazione del principio di proporzionalità stabilito dalla legge.


Un'analisi molto più approfondita e scientificamente accurata dei costi di mantenimento di una famiglia si può trovare nel seguente studio, che ha il solo difetto di essere un po' datato: Veronica Polin, Il costo dei figli svincolato dal benessere, in "Rivista internazionale di scienze sociali", Gennaio 2004.


Si richiama in particolare l'attenzione sulle seguenti tabelle, pubblicate in calce all'articolo:



AGGIORNAMENTO GIUGNO 2022


La Banca d'Italia ha recentemente pubblicato la propria relazione sull'anno 2021. A pag. 66, nella sezione descrittiva del reddito delle famiglie, si trova un capitolo sul costo di mantenimento dei figli; dai passaggi più rilevanti si evince che:

- Nel periodo 2017-2020, i nuclei familiari composti da due adulti e uno o più figli minori hanno speso in media poco più di 640 euro al mese per mantenere ogni figlio (un quarto della spesa media di una famiglia italiana);

- Questo costo comprende gli acquisti di beni e servizi destinati esclusivamente ai figli (ad es. alimenti per neonati e rette scolastiche) e una quota dei consumi rilevati a livello familiare (quali le spese per l’abitazione e per i trasporti), stimata utilizzando diversi criteri di ripartizione. Quasi il 60 per cento della spesa è stato destinato a soddisfare bisogni primari (alimentari, abbigliamento e spese per la casa, istruzione e salute).



Su queste pagine abbiamo scritto diffusamente della contraddizione implicita nella disciplina dell'assegno di mantenimento dei figli, che ha come fine la conservazione del tenore di vita del minore, tenore di vita che tipicamente è determinato dalle spese straordinarie, eppure è dichiaratamente orientato a coprire solo il mantenimento ordinario.

Allo scopo di identificare un filo conduttore in una disciplina contraddittoria, abbiamo coniato la nozione di "spese voluttuarie" per rappresentare una zona grigia di spese ricorrenti, e pertanto ordinarie, che tuttavia incidono sul tenore di vita, quali ad esempio l'acquisto periodico di un nuovo giocattolo o una cena ricorrente in pizzeria.

La cifra di 640 euro determinata da Bankitalia include sia una quota di spese che tipicamente sono considerate straordinarie dalla giurisprudenza ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento, sia le spese voluttuarie come da noi definite. La spesa media determinata da Bankitalia è pertanto un valido indicatore della somma necessaria per determinare il tenore di vita di un minore e può essere assunta come limite massimo per la determinazione dell'assegno di mantenimento. Si ricorda che tale somma comprende sia le spese ordinarie, che le "spese voluttuarie", che le spese straordinarie; ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento dovrà quindi innanzitutto essere suddivisa tra spese ordinarie e straordinarie e poi ulteriormente ponderata prima in base ai rispettivi redditi dei coniugi e poi ai rispettivi tempi di frequentazione.

La ripartizione tra spese ordinarie e straordinarie è rappresentata nel seguente grafico, tratto dalla stessa relazione di Bankitalia, dove si vede che le spese ordinarie (cibo, abbigliamento, casa) incidono per circa il 50% della spesa complessiva di mantenimento di un figlio.



Bankitalia riferisce che la spesa complessiva per i figli è pari al 25% della spesa complessiva delle famiglie. Tale dato è coerente con le statistiche Istat, che determinano in 2.637 euro il reddito medio delle famiglie italiane (reddito medio Istat anno 2018). Il 25% di 2.637 è infatti 659 euro il che significa che una famiglia media, non disponendo di liquidità sufficiente per accantonare risparmi, spende per i figli circa 650 euro complessivi.


Il fatto che una famiglia spenda in media per un figlio 640 euro non significa che, ad esempio, ne spenda 1.280 per due figli. Da un lato, infatti, il costo di mantenimento di un figlio è progressivamente meno gravoso al crescere del numero dei figli (due figli non consumano il doppio di energia elettrica rispetto a un figlio; il secondo figlio può riutilizzare gli abiti del primo), dall'altro il limite complessivo del reddito familiare impone di ridurre il tenore di vita dei figli, ceteris paribus. Tale concetto è recepito nella scienza statistica con lo strumento delle c.d. "scale di equivalenza".


La seguente è la scala di equivalenza elaborata dall'INPS ai fini della determinazione dell'ISEE.



Il significato della tabella è che una famiglia di due persone, rispetto a una famiglia di una persona, per mantenere lo stesso tenore di vita, non dovrà disporre del doppio del reddito, bensì solo del 57% del reddito in più. Allo stesso modo, per effetto esponenziale delle economie di scala conseguite al crescere del numero dei componenti della famiglia, un nucleo familiare di 3 componenti (due genitori e un figlio) avrà bisogno del 104% in più del reddito per mantenere lo stesso tenore di vita goduto da ciascuno dei genitori da single.

Una coppia con due figli, in base alla scala di equivalenza, necessita del 21% di reddito in più (incremento percentuale da 2,04 a 2,46) per garantire al secondo figlio lo stesso tenore di vita del primo. Dunque se una coppia spende complessivamente 640 euro per il mantenimento di un figlio, ne spenderà 774 per il mantenimento di due figli e 898 per il mantenimento di 3 figli (l'incremento percentuale da 2,46 a 2,85 è del 16%).


Conclusione


Nel presente elaborato è stata innanzitutto illustrata la tabella, desunta dal sito istituzionale dell'Istat, che illustra la spesa media delle famiglie italiane, ripartita per capitoli di spesa, al variare del numero di componenti del nucleo familiare. Tali dati non indicano la ripartizione del costo tra adulti e figli, per cui in modo rozzo e approssimativo la spesa complessiva è stata semplicemente divisa tra il numero dei componenti della famiglia, con i seguenti risultati riferibili alle sole spese ordinarie (si noti che l'incremento, al variare del numero dei figli, rispecchia abbastanza fedelmente l'incremento previsto dalle scale di equivalenza INPS).

La recente relazione di Bankitalia, al contrario, può essere sintetizzata nella seguente tabella, dove il dato del costo di mantenimento complessivo di un figlio viene esplose su più figli in base alle scale di equivalenza INPS e suddiviso tra spese ordinarie e straordinarie nella rispettiva misura del 60/40 per cento, coerentemente con la proporzione di tali fattispecie di spesa indicata da Bankitalia.



Facendo una media tra i due dati, si può affermare che una famiglia media italiana, con il reddito di circa 2.700 euro al mese, spende, per il mantenimento ordinario dei figli, le seguenti somme:

- 1 figlio: 450 euro;

- 2 figli: 640 euro;

- 3 figli: 1.000 euro.


 

Si vedano anche:

Marino Maglietta – Il costo di mantenimento di un figlio

Istat – Il costo dei minori per le famiglie italiane – anno 2012

Istat – Spese per consumi delle famiglie – anno 2019

Federconsumatori – costo mantenimento di un figlio da 0 a 18 anni

Filcams CGIL – I consumi delle famiglie italiane


Per calcolare il costo (e in alcuni casi anche l'assegno perequativo) secondo criteri scientificamente oggettivi, oltre al calcolatore gratuito presente su questo sito, esistono numerosi software disponibili online. In particolare il software Chicos (associazione Crescere Insieme) è stato sviluppato a seguito di un approfondito studio statistico e determina il costo suddividendolo per capitoli di spesa in base a numerosi parametri reddituali, demografici e reddituali.


Oltre a Chicos segnaliamo anche:

- SAM.


Lorenzo Cornia (dottore commercialista)


Contributi precedenti:


Contributo successivo:


50.731 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

Comments


bottom of page